"Illic es haud Sancti Peccatorii"

La serie della mia OC ( Cristiana Vargas )

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  1. RoseDodgson
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    Intrighi, corruzione, sangue e fede. Un connubio impossibile, dicono...o meglio, credono. Ogni nazione cela nel proprio grembo e nella propria memoria segreti, imbrogli e violenze immorali.. ma nel mondo di Himuraya le "Nazioni" sono semplici barche comandate dagli esseri umani, vittime consapevoli di quella che viene definita Storia. Hanno corpi e sentimenti umani ma non sempre sono padroni di loro stessi. Questa è una raccolta di immagini, ricordi ed episodi che vedono protagonista la mia Original Character di APH: lo Stato Pontificio, Stato della Chiesa, Stato Ecclesiastico, Città del Vaticano. Tanti nomi per un unica "persona": una nipote, una sorella, una donna. La nazione più piccola del mondo, la più influente, la più misteriosa... Affetti, dolori e paure antropiche si mescolano ai doveri imposti dalla storia e dai suoi protagonisti...
    “Gli esseri umani possono influenzare i nostri corpi, le nostre scelte, le nostre azioni, ma mai riusciranno a dominare il nostro cuore…”



    Somnia

    257 d.C., Italia centrale, Spiaggia sul mar Tirreno

    “Valeriaaaa!”
    Il bimbo biondo la raggiunse sulla spiaggia. Era tutto sudato e i bei capelli ondulati gli erano rimasti appiccicati alla fronte. Aveva stampato in volto il suo solito ghigno e trascinava qualcosa, dietro di sé. Valeria, sentendo il suo nome, lasciò cadere le conchiglie che aveva raccolto e gli andò incontro.
    “Ave Francis!” disse lei con tono allegro. L’altro, per tutta risposta, fece una smorfia. “Quante volte devo ripetertelo?! Il mio nome va pronunciato con la c morbida, come una s….. non come fai tu!” Valeria scrollò le spalle con disinteresse. Figuriamoci se cambiava il suo modo di pronunciare le parole per lui! Lei parlava correttamente la lingua del nonno. Semmai era lui che rovinava pronuncia e sintassi. Comunque, Valeria non voleva litigare, quindi pose la sua attenzione su ciò che stava accoccolato dietro la figura smilza dell’amichetto. “Cos’è?” “Vorresti dire -chi è?-!” affermò lui, con tono trionfante, mostrando la sua preda.
    Due occhioni verdi la guardarono per un secondo, per poi abbassarsi con aria imbarazzata. No, spaventata. “Allora, che cosa dici?” chiese Francis, soffiando dal naso. Lo sguardo di Valeria indugiò sul corpo del bambino. Aveva la pelle abbronzata, tesa sui muscoli, già abbastanza definiti. Portava una tunica gialla tutta rovinata e non sembrava dimostrare più di 6 anni, forse anche 5. Eppure c’era qualcosa di strano in lui. Sospettosa si voltò verso Francis: “E’ un bambino, e allora?” “Non è un bambino comune!” l’amico fece un sospiro profondo scostandosi i capelli dalla fronte. “E’ uno di noi!”.
    Gli occhi dorati di Valeria brillarono. Allora i suoi sospetti erano fondati! Si voltò veloce verso il bimbo bruno che stava ancora fissando con incredibile intensità i suoi piedi nudi. “Uno di noi…” disse fra sé e sé la bimba. Sentì l’eccitazione bruciarle il petto. Nel mentre Francis iniziò a raccontare come il nonno avesse trovato il ragazzino, di come lo avesse preso sotto la sua custodia e di come fosse contento, malgrado tutti i problemi che stesse affrontando. Valeria continuò ad osservare il bambino con interesse.
    “Come ti chiami?” chiese di punto in bianco, interrompendo la spiegazione di Francis. Il bimbo con gli occhi verdi, sussultò lievemente a quella domanda diretta. Senza alzare lo sguardo disse: “A- Antonio…”. Era decisamente impaurito. “Bene Antonio” disse Valeria con tono deciso “il mio nome è Valeria Vaticana Vergas, lui è Francis e tu sei uno di noi! Benvenuto!” Nel sentire quello strano nome, Antonio alzò finalmente gli occhi verdi ed incrociò quello di Valeria. “Va- Vaticana?” era confuso. “ Sì! Come il Dio! Il Dio Vaticanus!” L’espressione di Antonio era ancora vaga “Il Dio Vaticanus è la divinità che assiste la nascita dei bambini! Io porto il suo nome, ma tu, come Francis, puoi chiamarmi Valeria!” La bimba lo guardò entusiasta. Antonio, dopo un attimo di esitazione, mosse il capo bruno come cenno di comprensione. “ Bene, quindi vieni dalle regioni occidentali giusto? ”. “Credo di sì.” “Credi?!” esclamò contrariata Valeria, alzando la voce e spaventando un gruppo di gabbiani a pochi metri da loro. Poi si rivolse a Francis che, offeso per essere stato interrotto, aveva iniziato a scavare una fossa con i piedi. “Ma sa almeno chi è?”. Il biondino fece una smorfia divertita. “Ho provato a spiegarglielo ma, non credo abbia compreso completamente…”. Antonio continuava ad osservarli, taciturno. La curiosità aveva preso il posto della paura. Valeria ci pensò su per qualche secondo, poi corse a prendere un lungo ramo, tutto bagnato, abbandonato lì vicino. Lo liberò dalle alghe e tornò da loro. “Adesso fai attenzione!”. Antonio si sentì leggermente preso di mira.
    “Noi siamo speciali, non siamo come gli altri. Il nostro corpo e la nostra mente non sono in sincronia, infatti viviamo più a lungo di tutti gli altri esseri viventi.” Antonio la guardava con sincera curiosità ma l’espressione rimaneva disorientata. “Ad esempio, tu quando sei nato? Te lo ricordi?”. Il bimbo, dopo pochi secondi, scosse la testa. “Comunque, di certo, non sei nato pochi anni fa.” Affermò Francis con fare sornione. “Già!” riprese Valeria “ tutti e tre sembriamo dei bambini, e spesso abbiamo dei comportamenti o atteggiamenti simili ma, le nostre menti seguono il corso della vita reale e quindi crescono. Il corpo cresce più lentamente e a volte, rimaniamo bloccati per decine o centinaia di anni….” “Inoltre” la interruppe Francis “siamo più forti, più veloci, più intelligenti e guariamo in fretta”. I due sorrisero con aria compiaciuta.
    Fu allora che Antonio fece per la prima volta una domanda: “ E perché?”. I due si guardarono per un attimo, poi Valeria indietreggiò di due passi e, con movimenti sicuri, iniziò col ramo a tracciare linee contorte sulla sabbia. “Noi tre siamo qui” disse indicando una figura allungata, “Francis è nato qui”, puntò il bastone a sinistra “e tu dovresti essere qui” disse spostandosi ancora a sinistra. “No, guarda che è tutto sbagliato!” si lamentò Francis, allungando le mani per prendere il ramo ma Valeria si scostò velocemente “E’ così! Ho osservato bene le carte del nonno!”.
    Quei due sembravano davvero dei bambini.
    “Comunque” riprese con decisione la bimba, scostando un ciuffo ribelle dagli occhi “le nostre anime sono legate a questi rispettivi posti” ripassò il ramo sui tre punti indicati precedentemente “ e le nostre memorie seguono la storia di ciascun posto di appartenenza. Come noi ce ne sono un bel po’, soprattutto della nostra…. sì, diciamo della nostra età…. Ad esempio il mio, cioè… il nostro nonno si chiama Impero Romano! Ora anche tu sei sotto la sua protezione! E’ molto, molto forte!” Gli occhi di Valeria brillarono come due stelle mentre pronunciava quelle parole. Invece il viso di Antonio si rabbuiò. “Sì lo so, è arrivato da noi molto tempo fa.” Si sedette sulla sabbia incrociando le gambe, poi prese coraggio e chiese “Allora…. Cosa facciamo noi durante tutto questo tempo?”.
    “Ovvio, cresciamo!” fu Francis a rispondere, nel mentre, Valeria si era piegata nuovamente a tracciare altre linee “Sopra e sotto di noi si estendono vastissimi continenti, il nonno ne ha già occupati, in parte, e a oriente c’è immensa Asia. Noi, con i nostri rispettivi Imperi, conquisteremo tutti questi continenti e condivideremo con i popoli nativi le nostre culture. Francis sarà la Francia, mentre tu sarai…” si rese conto di non conoscere il nome del territorio di Antonio, ma Francis le venne in aiuto. “Spagna! Giusto Antonio?” chiese con tono zelante. L’altro rispose con un cenno di assenso. “Bene” disse Valeria raddrizzando la schiena “è deciso! Saremo i padroni del mondo, regneremo in modo giusto e saremo sempre leali tra di noi! Lo prometti Antonio? Lo prometti? ”
    Le iridi dorate vedevano un futuro lontanissimo, che per lei era già chiaro ed immutabile. Lo sguardo di Antonio vagò sui due bambini, entrambi biondi e sorridenti. Ancora leggermente confuso, sorrise di cuore ai suoi nuovi amici. “Prometto.”
    “Ottimo! Ora, per iniziare, vediamo chi di noi tre è il più veloce! Così il migliore potrà aiutare gli altri! Da qui fino a….” il ditino di Valeria si alzò deciso e puntò un gruppo di scogli vicino alla riva. “Lì! Siete pronti? Francis? Antonio?”. Il bimbo dagli occhi verdi si spostò accanto alla bambina. Valeria Vaticana Vergas. Strano nome, ma voleva ricordarselo. Francis sarebbe stato la Francia, lui, invece, avrebbe rappresentato la Spagna…. “Ehm, Valeria?” chiese d’impulso. Quando entrambi si voltarono arrossì lievemente. “Ma tu… tu chi sarai?”. Il volto di lei si illuminò e il suo sguardo si fece fiero. “Io?” chiese, voltandosi verso il punto di arrivo, pronta allo scatto.
    “Io sarò Italia”.



    1870, Roma, Basilica di San Pietro

    “Tutto ciò è inammissibile!”. L’affermazione alterata di Pio IX rimbombò tra le fredde mura di marmo. “Non tollero una tale assenza di rispetto nei miei confronti! Nei confronti della Chiesa!” Con un sospiro rauco si passò il candido fazzoletto sul volto paonazzo. “Siete sicuri?” Il tremante cardinale Giacomo Antonelli prese coraggio e ripetè “Sì Eminenza, è così. Sono da poche ore, partiti dall’Umbria… dobbiamo immediatamente organizzare l’esercito, prima che… che sia tardi.” Il Papa sospirò profondamente una seconda volta, poi, dopo essersi calmato, chiese“Sono arrivati i volontari e i loro rappresentanti?” “Certo Eminenza, attendono gli ordini di Vostra Grazia…vado a chiamarli?” Il cardinale non desiderava altro che uscire da quella stanza. Il Papa fece cenno con la testa e, in un attimo, il cardinale era sparito.
    “Spero voi siate soddisfatta… ormai prossimo ex-Stato Pontificio …”. La ragazza, che era rimasta nell’ombra per tutto l’incontro, si fece avanti e si inchinò ai piedi del Papa, mantenendo una certa distanza. “Non comprendo esattamente cosa intenda Vostra Eminenza…”. “Intendo la prepotenza dei vostri cosiddetti fratelli”. Il tono dell’uomo era basso, falsamente calmo e pieno di rancore. “Ho permesso che si riconciliassero, ho permesso che diventassero una cosa sola, lambendo i confini del mio Stato, ho acconsentito che questo sogno, dell’Italia Unita, diventasse realtà, e ora, la mia stessa città, il cuore della unica e vera religione verrà pugnalato a tradimento e trasformato in una comune capitale! Per la fame dei vostri fratelli, della loro ingordigia! Questo intendo! E voi… cosa intendete fare a proposito?”
    La ragazza mantenne lo sguardo basso, come segno di rispetto: “ Sarò breve Vostra Eminenza. Era da tempo che si sospettava un colpo di questa natura. Siamo preparati a sufficienza per poter difendere la città e buona parte dello Stato.” Il suo tono era calmo, formale. Ormai era abituata a questo genere di cose. “Tuttavia” aggiunse sollevando lo sguardo “ritengo giusto ammettere che questa carneficina possa non dare i risultati sperati.” La mano di Pio IX afferrò spasmodicamente il bracciolo del trono. “Smettila con questi inutili giri di parole!” disse tralasciando ogni formalità. “Dimmi chiaramente, riusciremo a tener testa ai tuoi amati fratelli? ”. Dopo pochi secondi di silenzio, la ragazza si alzò e guardò direttamente il viso del Papa. “Non lo so” disse mestamente“ è per questo che le chiedo di poter parlare direttamente con la Francia e la Spagna…. in modo tale, riusciremmo ad organizzarci meglio ed in minor tempo”. L’uomo si coprì il viso con il fazzoletto. Non riusciva più a guardare ciò che aveva davanti. “Vai…” disse stancamente. Prima che la ragazza potesse sparire dietro la porta aggiunse “… e non tornare, se non porti buone notizie”.
    Uscita, corse lungo il corridoio dove incrociò il cardinale. “”Sono tutti e quattro laggiù. Mi auguro sappiate esattamente ciò che si deve fare.” “Meglio di quanto voi possiate credere Eminenza” fu la secca risposta di lei. Senza aspettare la rispostaccia del cardinale si diresse verso la sala indicatole. Quattro persone? Un attimo dopo fu tutto chiaro. Francia, Spagna, Svizzera ed Austria, in alta uniforme, si misero sull’attenti appena fece il suo ingresso. “Mio Dio…” disse sommessamente tra sé e sé. Chiuse delicatamente la porta e vi si appoggiò con la schiena.
    “Signori” iniziò sorridendo “aspettavo meno persone al mio funerale.” Quattro paia di occhi la guardarono colmi di shock. Il primo a riprendersi fu Svizzera che si fece avanti. “Non perdiamoci in chiacchere inutili…” tirò fuori dal nulla una cartina del centro Italia e la stese sulla cattedra più vicina. I quattro si piegarono su di essa ed iniziarono a parlare, a pianificare. Per diversi minuti lei rimase immobile, appoggiata alla porta a guardarli. Fece svanire ogni singolo ricordo riguardanti ciascuno di loro. No. La malinconia non l’avrebbe distratta. Bei ricordi e dolorose tragedie erano ormai il passato. Si lisciò la lunga veste bianca e li raggiunse. “Ora ascoltatemi per favore”. Tutti e quattro tacquero, alzarono gli occhi e tesero le orecchie. “Vi ringrazio anticipatamente per la vostra disponibilità ed il vostro appoggio, sono chiaramente in debito con tutti voi”. Guardò con attenzione il viso serio di Austria, il cipiglio poco convinto di Svizzera, l’espressione confusa di Francia e gli occhi preoccupati di Spagna.
    “Vorrei comunque, prendere io stessa il comando, naturalmente se siete d’accordo”. “Hai già pianificato la controffensiva?” chiese immediatamente Austria. “Se è così possiamo subito schierare le truppe” aggiunse Francia mentre Svizzera osservava la mappa con attenzione. Stato Pontificio si voltò verso la finestra. Era una bellissima giornata autunnale. Appoggiò una mano sul vetro guardando l’orizzonte. “Cristiana?” il tono di Spagna era teso e deciso. Aveva capito tutto.
    “Gli ordini sono questi.” La ragazza pronunciò lentamente ogni singola parola senza voltarsi, gli occhi dorati persi nell’orizzonte. “Andate dai vostri eserciti e… tornate a casa. Subito.”



    Your green eyes, her golden eyes...Tus ojos verdes, sus ojos dorados... Rating ROSSO


    14/02/2013

    Goodmorning England!
    Come stai stamattina? Ti vedo stanco…
    Ti dirigi lentamente in cucina e accendi il bollitore.
    Il tea sfuso è nella prima anta a destra.
    Ne versi un cucchiaio nella teiera e ti volti.
    Manca il latte.
    Passi vicino alla ribaltina e posi gli occhi sul calendario.
    Ti fermi. Il telefono e il cellulare sono lì vicino.
    Li guardi per un attimo e poi apri il frigorifero.
    La chiamerai?
    Che sciocchezze, certo che no.
    Dov’è quel cartone maledetto.
    Poi, in questo momento, sarà impegnatissima.
    E’ lì davanti idiot.
    Lo afferrì. E’ gelato.
    Chi chiamerai allora?
    Nessuno, perché dovrei?
    Lo posi in fretta sul tavolo.
    Ti volti di nuovo e guardi i due apparecchi.
    Dimmi Arthur, in quanti pezzi è diviso il tuo cuore?
    Tsk, ma che dici?
    Due, tre o di più? Ah certo, non dimentichiamo la fetta più grossa… quella con il tuo nome.
    L’hai dimenticata vero? Non fai più certi sogni?
    Sospiri e vai a prendere un bicchiere.
    O ti affoghi nei ricordi? Più antichi della St Barth… o sì, così antichi che forse, chissà, non ricordi neppure.
    Esatto.
    Bugiardo. Lei ti voleva così bene vero? Ti ha sorriso quando eri solo e ti ha risollevato quando eri abbattuto. Ti ha insegnato tante cose e ti ha guardato in quel modo, così speciale, come se non ci fosse nessun’altro sulla Terra.
    Ma cosa dici?
    Dimmi Arthur, rimembri il suo sguardo gentile? I suoi occhi caldi e cristallini? Erano più dolci del miele vero? Erano una carezza sul cuore. E ora, come ti guarda?
    Ormai è da troppo tem… basta finiscila!
    Bravo! Vedi che ricordi. Ormai è da tempo che ti guarda con quegli occhi freddi o peggio, non ti guarda.
    Non è vero, mi guarda.
    Sì certo. Per cortesia, per pura formalità. Ma c’è una sola scheggia di amore nel suo sguardo? E nelle sue risatine con Francia, alle tue spalle o quando parla con Alfred e si mette la mano davanti alla bocca cercando di trattenersi. Quando le sue labbra si arricciano in quel ghigno malefico di superiorità, lì c’è amore?
    Oh, Artie… è inutile che ti passi la mano sul viso per cacciarmi. Io rimango qui. Dimmi che sogni fai? E’ sempre lo stesso o cambi? La immagini ancora, lei sotto la pioggia.
    Smettila…
    La tua pioggia, quella di casa tua. Lei si volta e ti guarda. Siete su Waterloo Bridge e non c’è anima viva. Il Tamigi alle sue spalle e la tua pioggia sulla pelle. I capelli sciolti, appiccicati al viso. La camicetta bianca, aderente e zuppa, mostra forme perfette, piene e materne. Tiene un cardigan scuro abbandonato nella mano sinistra. Tu glielo prendi e lo appoggi sulle sue spalle. Siete così vicini. Così vicini che ti fa male. Lei solleva di poco lo sguardo e i vostri sguardi si allacciano. E’ la fine. Lei schiude le labbra bagnate, come per dire qualcosa ma tu glielo impedisci. Le afferri il capo e la zittisci con un bacio. Succhi avidamente l’acqua piovana sulle sue labbra, che sembra zuccherina su di lei. Disegni il profilo della sua bocca con la tua lingua, come per memorizzarne la forma a cuore. Lei non ti respinge, anzi ti cerca e ricambia. Le vostre lingue iniziano a danzare e ad accarezzarsi, senza freni. La pioggia cade su voi due, imperturbabile ed infinita. Lei si stacca senza fiato e ti guarda. Il cielo grigio di Londra si riflette nei suo occhi e sembra che il Sole stesso irrompa dalle nuvole. Lei arretra leggermente e si appoggia alla ringhiera. Continua a scrutarti senza battere ciglio, nonostante la frangia bagnata, troppo lunga per non dare fastidio. Ti fai avanti e siete di nuovo a baciarvi, a mordervi le labbra, ad ansimare. Con le mani aperte la studi, analizzi ogni curva del suo corpo con i palmi aperti: segui la linea dolce del collo, la schiena inarcata, i glutei in tensione. Poi risali sulla vita e finisci sui seni. Inizi a massaggiarli, beandoti della loro morbidezza. Lei si stacca di nuovo e il suo sguardo è appannato dal desiderio. Senti i capezzoli irrigidirsi. Maledetta seta. Sei d’intralcio. La ribaci con voracità, tenendo una mano ben ferma tra i suoi capelli e l’altra a destreggiarsi con i minuscoli bottoncini. La sua pelle è meravigliosa liscia e tenera. Senza tante storie le infili la mano nel reggiseno. Avresti voluto guardare, incidere nella tua memoria quell’immagine ma sei troppo impegnato a mantenerla docile con la tua bocca. Le prendi un seno e potresti morire. E’ caldo, morbido, quasi malleabile. Catturi il capezzolo tra il medio e l’anulare e ricominci a massaggiare quella meraviglia. Le gambe ti tremano e stai iniziando a perdere il tuo selfcontrol. Appoggi la tua erezione sulla sua coscia e continui a baciarla, inghiottendo i suoi gemiti…
    Cosa stai facendo Arthur? Perché ti sei appoggiato al cucinotto? Non stai bene? Fa male vero?
    Cosa è che ti fa più male mmh?
    Il fatto che abbia perdonato Spagna e non te?
    Il ricordo di quel suo casto bacio sulla guancia?
    Il fatto che non sarà mai tua?
    Perché è così, Inghilterra. Lei non ti vorrà mai. Tu non potrai mai sentire le sue labbra consenzienti sulle tue. Non potrai mai accarezzare la sua pelle. Non potrai mai assaporare i suoi seni riempiendoti le orecchie dei suoi gemiti.
    Ed è inutile che ti tocchi ora. Credi di dimenticare in questo modo?
    Un gentiluomo non si comporta così. Non fa certi sogni e non si strofina di prima mattina.
    Sei così preso che non senti il bollitore fischiare.
    Eppure le sue labbra le hai sentite vero?
    Di cosa sapevano?
    Di sangue, di sale e di rabbia?
    Ma è stato un attimo no?
    Un attimo per illuderti di averla fatta tua.
    Ma è inutile che ti illudi.
    Anche adesso, che ansimi con la fronte madida di sudore, sai perfettamente che quelle labbra non diranno mai una dolce parola per te, non ti chiameranno mai my love, e non si poseranno mai sul tuo corpo.
    Perché l’unica parola che sorgerà da quelle labbra, piegate in un ghigno malefico e disgustato, sarà: traditore.



    14/02/2013

    Buenos días, España!
    Come stai stamattina? Ti vedo dimagrito…
    Ti dirigi lentamente in cucina e accendi il bollitore.
    Il caffè solubile è nella terza anta sopra la tua testa.
    Ne versi due cucchiai nella tazza e ti volti.
    Non ci sono più arance. Meglio andare a prenderle in dispensa.
    Passi vicino al comò e posi gli occhi sul calendario.
    Ti fermi. Il telefono e il cellulare sono lì vicino.
    Li guardi per un attimo e poi apri la porta dell’armadio.
    Chi chiamerai?
    Non lo so.
    Prendi dal sacchetto le ultime arance e le porti in cucina.
    La chiamerai?
    Dubito che abbia il tempo di parlare con me in questo momento.
    Prendi il coltello ed inizi a sbucciare un’arancia.
    Chiamerai lui allora?
    Forse, non lo so.
    Finisci di sbucciarla e l’appoggi su un piatto.
    Ti volti di nuovo e guardi i due apparecchi.
    Dimmi Antonio, in quanti pezzi è diviso il tuo cuore?
    Sono molto stanco, non voglio perdere tempo dietro degli stupidi indovinelli.
    Loso, due. Ma mi chiedo… chi possiede la fetta più grossa?
    Chiudi gli occhi e sospiri.
    Non ti senti minimamente in colpa per desiderare due frutti dello stesso albero? Contemporaneamente poi…
    Por favor, deja...
    Ma d’altronde, lei è stata il tuo primo amore quindi, basandoci sulla tempistica…
    Ma cosa stai dicendo?
    Dimmi Antonio, i suoi modi di fare sono cambiati? Ti guarda ancora come un tempo faceva?
    …….
    Capisco, sei terrorizzato vero? La crisi e tutto il resto… credevi ti sarebbe stata più vicina? O hai paura di perderla ancora di più?
    …….
    Spagna… è inutile che fai finta di non sentirmi. Io rimango qui.
    Ti prego…
    Sareste stata una bella famigliola, tanto tempo fa. Immagina: lavorare i campi, vedere la sua pelle abbronzata e il volto sereno, tenere in braccio Romano addormentato, baciarla teneramente davanti al tramonto e poi, passare la notte con lei.
    Non la sfiorerei mai, manco…
    Bugiardo. Hai dimenticato i baci che vi davate quando eravate in mare? Quando tu eri ancora il grande conquistatore, crudele e sanguinario, nonché padrone dei mari?
    Erano baci castissimi.
    Hai ragione.
    Io non potrei mai, non avrei mai potuto commettere un atto così…
    Così come? Peccaminoso?
    Devo ricordarti cosa facevi, e cosa fai quando sei da solo?
    Bella, sana come un tempo. Nuda sul tuo letto. I capelli che corrono e scorrono sul cuscino, che si diramano attorno alla sua testa. Sembra un Sole. Più caldo del Sole di Spagna. Fa male agli occhi. Le spalle piccole, le braccia abbandonate e le mani che artigliano il lenzuolo. E’ più puro il bianco di quest’ultimo o il candore che emana lei?
    Sei sicuro di averla sempre trattata con rispetto? Quasi con santità?
    Sei accanto a lei. Inizi a far scorrere la mano sul suo corpo, senza soffermarti troppo. La accarezzi e lei trema, trema anche il letto e la nave. Le tue dita accarezzano le sue cicatrici traslucide, il ventre piatto e morbido, la curva dei seni. Quando lei ti guarda, i suoi occhi sono scuri e pieni di lussuria. Allora lentamente la tua mano scende e si introduce la le gambe ubbidienti di lei, la scopri già bagnata ma resisti, non la penetri con le dita, non ancora. Accarezzi la peluria e le grandi labbra tenendo lo sguardo fisso sul suo viso. Chiude li occhi e ti accarezza il petto, contorcendo leggermente il corpo. E’ un invito ad andare avanti. Allora insinui il medio lungo la sua apertura, sfiori il clitoride e scendi. La sua bocca si apre, sboccia come una rosa rossa, mentre ti arriva quel delizioso odore di donna. Ti fiondi sulle sue labbra ed assaggi il suo fiore, ben conscio che tra poco la tua lingua scenderà sempre più giù. Le vostre lingue giocano mentre tu hai aumentato il ritmo e le dita sono diventate due. Non resisti. Ti fermi nel punto deciso ed entri con le due dita. E’ calda,bagnata, perfetta. Lei ti morde le labbra e volge la testa dall’altra parte. Un gemito più dolce di un canto di sirena ti annebbia i sensi. Poi un altro. Un altro ancora. Canta mia sirena. Porta la nave della mia anima ad infrangersi contro gli scogli.
    Stai bene Antonio? Dove scappi?
    L’acqua è pronta. Preparati il caffè.
    Vai in camera da letto con passo deciso.
    Cosa è che ti fa male?
    Il fatto che ci sei andato così vicino?
    Il ricordo dei suoi perdoni?
    Il fatto che fai certi pensieri su di lei?
    Un buon Cristiano non si comporta così. Non scappa a liberarsi nella speranza di stare meglio.
    Quei giorni non torneranno Antonio. Lo sai questo vero? Le sue labbra non torneranno.
    I vostri cuori erano così ben incatenati, l’uno all’altro. Catene più tese e forti di quelle della Santa Inquisizione. Cosa è successo poi?
    Ah sì, la politica, le giovani generazioni, i cambiamenti. E lui no? Quel meraviglioso capitolo della tua vita, al quale non riesci a dare ancora un titolo apposito. Suo fratello, che diamine.
    Hai paura vero? Hai paura che persino l’amicizia, o l’ombra dell’affetto che vi univa, sparisca del tutto.
    Hai paura che il liquido dorato dei suoi occhi si mescoli col tuo e poi, con un ghigno malefico e disgustato, sussurri la terribile parola: traditore.



    Quaerere

    1810, Veneto, Chioggia


    Probabilmente era impazzita.

    Sì, lo era sicuramente.

    Infilò una mano tremante sotto la mantella, sentendo la pelle nuda sotto le dita. Una volta tornata, una settimana di penitenza non gliela toglieva nessuno. Aveva lasciato il landau vicino al Ponte di San Giacomo ed aveva proceduto a piedi. L’aria salmastra della laguna le solleticava deliziosamente il naso mentre si faceva largo tra la folla. Una folla incredibile. Colorata, sgargiante, chiassosa. A breve avrebbe dato di matto.

    Afferrò saldamente l’astina della maschera e pose sul viso quest’ultima. Si sentiva ridicola ma, almeno così, nessuno l’avrebbe riconosciuta. Non aveva la benché minima idea di dove andare, di dove cercare. Era sola. Ma doveva farlo, non avrebbe avuto altre possibilità come questa.

    Continuò ad avanzare cercando di risultare il più naturale ed elegante possibile, nonostante le scarpe scomode, il vestito pesantissimo e un pugnale con tanto di fodero assicurato sotto il ginocchio destro. Probabilmente non c’era posto peggiore, ma non sapeva davvero dove nasconderlo. Erano decenni ormai, che non si mescolava con la gente “comune”: saltimbanchi, trampolieri e mangiatori di fuoco si trovavano ad ogni angolo intrattenendo il pubblico con giochi ed acrobazie. La folla rideva ed esultava. Ma chi era questa gente? Nobili? Borghesi? O poveracci che avevano rimediato un vestito nuovo e cercavano di raccattare qualche fiorino? Ma d’altronde questo era il Carnevale.

    Fece più volte il giro dell’isola ma fu tutto inutile: era semplicemente impossibile trovare qualcuno in quella massa informe di colori, con tutti quegli schiamazzi irritanti. Si staccò dal resto della folla e si diresse verso uno dei tanti porticcioli. Si sentiva il cuore e le gambe a pezzi, gli occhi le bruciavano per la rabbia e lo sconforto. Si lasciò cadere su delle casse di legno abbandonate e scoppiò a piangere. Singhiozzi violenti e silenziosi, frutto di tutta la frustrazione accumulata negli ultimi… mesi? Anni? Non lo sapeva neppure lei, l’unica cosa di cui era ormai certa è che era stato un viaggio inutile e chissà quanto tempo sarebbe passato prima di poter…

    “Un mouchoir à une pleurer fille…”. Una sussurro vicino l’orecchio sinistro la fece rabbrividire. Si voltò di scatto, la mano destra che risaliva la gamba in cerca del pugnale.

    Un volto, nascosto quasi interamente da una bauta bianca, era a pochi centimetri dal suo. Le labbra scoperte, piegate in un ghigno. Ghigno.

    “Francis! Qu'est-ce que tu fais ici? ” Esclamò la giovane paralizzata dallo stupore per essere stata scoperta.

    “Shhhhh!” L’uomo, il cui ghigno era scomparso, le tappò la bocca con la mano e si guardò intorno “sei impazzita?”. Lei lo guardò truce scostando il volto dalla sua mano.

    “Che ci fai qui?” ripetè nella loro lingua universale abbassando il tono.

    “Che ci fai tu qui?!” rispose l’altro “da quand’è che frequenti le feste? Per di più all’aperto!” Il suo tono era un misto di eccitazione, perplessità, sarcasmo e sana curiosità.

    “Sto guardando la laguna. Comunque… ti sembra il modo di iniziare una conversazione? Alitando sul collo delle persone?” Cercò disperatamente di prendere tempo.

    “Alle donne piace…e non solo a loro” rispose lui divertito, scrutando, attraverso la maschera il viso rosso di lei. “Bonté divine, arrossisci per niente Cristiana. Insomma, alla tua età?”

    La donna fece un lungo sospiro continuando ad osservare la laguna. Questo non l’aveva previsto. Ma come poteva poi..? Francia non doveva più trovarsi lì.
    Che fare ora?

    “Un momento…” iniziò l’altro, venendole di fronte “tu non sei…”. Lei si coprì il viso con la maschera. Sperava che il buio serale l’aiutasse a nascondere gli occhi arrossati ma, a quanto pare quello non era il suo giorno fortunato.
    “Credevo fosse uno dei tuoi soliti piagnistei per nulla ma…”

    “ Infatti, è così! Uno dei miei soliti piagnistei per nulla” rispose lei scimmiottandolo ”ora lasciami in pace Francis, prima che inizi ad urlare che un francese sta violando la mia persona in pieno territorio ital…- austriaco!” .

    Ed eccola lì, più di 2000 anni di età umana, a fare i capricci come una bambina, seduta su delle casse di legno che, probabilmente, avevano contenuto fino a poche ore prima, chissà quale pesce maleodorante. Francis Bonnefoy non potè non sentire una piccola morsa al petto nel guardare quella pelle bianchissima, quasi diafana in forte contrasto con l’abito di broccato rosso sangue. La bambina abbronzata e vivace, di tanto tempo prima, era solo un ricordo. Quella che aveva davanti era una giovane donna stanca e sconfortata. Una rosa bianca dai petali sgualciti.

    Ma petite rose blanche.

    Rebelle.

    A’ la recherche de quelque chose ou quelqu'un.

    Francis capì. Arretrò elegantemente di qualche passo e si inchinò davanti a lei.

    “Mi trovo qui per una piccola faccenda lasciata in sospeso” disse con il tricorno appoggiato all’altezza del cuore “e credo sinceramente di poterti aiutare”.
    A quelle parole, dette con un tono così solenne e sincero, Cristiana sussultò impercettibilmente e guardò gli occhi azzurri di Francis.

    “Quindi” continuò lui “ descendre de ce “trône” s'il vous plaît”.


    *+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*


    La porta si aprì di pochi centimetri, lo spazio sufficientemente necessario per far intravedere un atrio poco illuminato e metà viso di una fanciulla. L’occhio scuro scrutò silenziosamente i due individui che stavano aspettando, finché Francis non sollevò la maschera ammiccando in modo seducente “Bonsoir…”

    “Oh, Siete voi mosiseur Pierre”

    Cristiana strabuzzò gli occhi ma fortunatamente stava indossando la maschera.

    “Ogni promessa è debito chèri…”

    L’italiano di Francis era pressoché perfetto ma, per qualche oscura ragione, cercava in tutti i modi di rimarcare la sua nazionalità ogni volta che c’era qualcuno di interessante.

    “Questa è mia sorella Yvonne” roteando gli occhi, Cristiana accennò un inchino, “siamo qui per chiedervi un minuscolo favore…”

    “Certo, ditemi pure vostra grazia”

    La donna aveva abbassato il tono della voce, rendendola più profonda. E stava sorridendo.

    “Vorremmo salire nei vostri appartamenti per un po’, se non vi causa disturbo…”

    “Oh” fece la donna aprendo ancora di più la porta ”nessun disturbo, in realtà vi stavo aspettando, ma, mi avete colto alla sprovvista e non sono vestita in modo adeguato”.

    Era una donna veramente bella. Di quelle che ti mozzano il fiato e che raramente dimentichi facilmente. Occhi di fuoco, capelli corvini, corpo sinuoso messo sfacciatamente in mostra da un vestito molto,molto leggero. Francis aveva degli ottimi gusti, certo, ma quei colori innaturali sul viso*1 e il forte profumo che emanava mise Cristiana in guardia.

    “Ricorderete la strada ma preferisco precedervi, prego”.

    Fecero alcune rampe di scala, illuminati solo dalla lanterna ad olio che teneva la donna misteriosa. Francis ghignava sognante, libero di poterne ammirare la figura. Cristiana gli pizzicò leggermente la mano guantata.

    “Dove mi stai portando?” sussurrò.

    “Come?” chiese lui con la mente altrove.

    “Mi stai portando in un bordello vero?” non aveva mai pronunciato quella parola, in modo così schietto, ma si sentiva così a disagio e preoccupata da dimenticare certe formalità ”Si può sapere come credi di aiutarmi portandomi in un posto del genere?”

    “Ah, Yvonne…” disse lui continuando a ghignare beato “tu non sai assaporare i veri piaceri della vita.”

    “Spero tu non abbia in mente strane idee Francis” disse lei in tono minaccioso “perché sono armata e non accetterei nemmeno sotto tortura di sottostare a certe tue perverse fantasie!”.

    Francis, con gli occhi che brillavano, la guardò intensamente, mentre il sorriso si allungava.

    “Potrebbe essere un’idea allettante, non ci aveva ancora pensato. Ma dimmi, come fai a conoscere certe pratiche?”

    Cristiana divenne rossa come uno dei pomodori di Spagna.

    “Ah” fece Francis terminando una rampa di scala “un giorno scoprirò quali libri leggi di notte. Sul comodino la Bibbia in bella mostra e sotto il cuscino un erot…”

    “Vi state burlando di me messere?” disse voltandosi la donna “Non capivo cosa stavate dicendo…Messere?!”.

    Cristiana lasciò immediatamente l’orecchio del francese che se lo tastò dolorante.

    “Pardon madame” si scusò lui con un sorriso “scaramucce tra fratelli.”

    “Oh capisco…” fece la donna “Siamo arrivati!”

    Ciò che si trovò davanti non era esattamente ciò che Cristiana si aspettava. Un semplice salone, mobili borghesi adagiati su pregiati tappeti persiani, candele e lampade ad olio che davano un tocco quasi malinconico all’insieme. Non era un bordello. Era una semplice stanza. Con tanto di balcone. Cristiana si avvicinò.

    “Cosa ti avevo detto sorellina?” affermò con tono entusiasta Francis “Da qui si può godere di una vista divina…”

    “Non discutete in francese con vostra sorella? ” chiese la donna con un leggero cipiglio.

    “Oh ehm… Vedete” balbettò il ragazzo, preso in contropiede, per poi continuare con maggiore sicurezza “Yvonne desidera così ardentemente imparare la vostra lingua che cerco di darle lezioni in qualunque momento propizio.” Cristiana, che si era tolta la maschera (più per educazione che per volontà) fulminò le soffici tende in sangallo.


    “Quante volte devo ripetertelo?! Il mio nome va pronunciato con la c morbida, come una s….. non come fai tu!” *2


    “Piuttosto” iniziò Francis con sguardo seducente, prendendo la mano della donna “perché non lasciamo la mia sorellina a gustarsi il panorama mentre noi non andiamo a fare une agréable conversation ?”

    Cristiana era già sul balcone quando le giunsero delle risatine eccitate dall’interno.
    Si strinse nella mantella. La temperatura si era ulteriormente abbassata e la brezza marina iniziava ad essere pungente. Perse lo sguardo nel buio della laguna che si perdeva nel cielo notturno. Non c’era la luna, solo stelle. Era magnifico: due mondi separati, l’uno oscuro, misterioso e freddo, l’altro luminoso, colorato e vivo. Terribilmente vivo.

    Rimase parecchi minuti a scrutare la folla sotto di sé: era abituata a guardare le persone dall’alto, separata dal contesto sociale, come se il mondo reale non le appartenesse. Ma quella sera era tutto diverso. Sfiorò gentilmente la ciocca ribelle che per secoli aveva tenuto ben nascosta sotto il velo o intrecciata insieme ai capelli, tirandola così tanto da sentire dolore.

    Dopo aver visto e rivisto cappelli ed acconciature di tutti i tipi passarle sotto gli occhi iniziò a perdere per la seconda volta la speranza. Ma non avrebbe pianto. Sarebbe semplicemente rientrata nella sala, avrebbe aspettato pazientemente il ritorno di Francis, lo avrebbe ringraziato e poi sarebbe tornata a Roma. E avrebbe tirato la ciocca ancora più forte.
    Nient’altro.

    Un gruppo di violinisti aveva iniziato a suonare vicino al canale alla sua destra. Era una motivo allegro e molti presenti, che si erano fermati ad ascoltare, iniziarono a battere le mani seguendo il ritmo. Era veramente contagioso. Una donna con un luminoso abito arancio iniziò a muovere anche i fianchi. E’ incredibilmente ridicola, pensò Cristiana, ma ha dei capelli davvero magnifici. Castani probabilmente, mossi e parzialmente raccolti. Fermati da dei fiori. Rimase ipnotizzata da quel colore così sgargiante fino a quando la donna non si voltò sorridente per parlare con un uomo. Poi quest’ultimo si allontanò e lei alzò gli occhi. Occhi verdi come una foglia di alloro. Era impossibile distinguere le iridi della ragazza ma Cristiana lo sapeva.

    Il gelo cadde sul volto suo e dell’altra che non muoveva un muscolo.

    Il cuore e il cervello dello Stato Pontificio raddoppiarono la naturale attività. Doveva scappare. Se fosse rimasta in quella casa, Francis sarebbe stato scoperto e non poteva, non voleva che ciò accadesse. Ma dove poteva andare? Se fosse rientrata e fosse passata per le scale interne la avrebbe trovata davanti al portone ad aspettarla. Era in trappola. Cristiana era la lepre e lei la volpe. L’unica via d’uscita era il balconcino. Saltare, atterrare e scappare. Ma come? Era fuori allenamento, indossava un abito ingombrante e inoltre, avrebbe attirato pericolosamente l’attenzione. Ma non poteva fare altrimenti.
    Sempre immobile, lo sguardo allacciato con quello della donna, iniziò a pregare.

    Pregò di non inciampare. Pregò che le giunture e le articolazioni non cedessero. Pregò che gli odiosi stivaletti fossero adatti alla corsa. Pregò di essere
    veloce. Molto veloce.

    Dopo aver dato una rapida occhiata alla sua sinistra, prese coraggio e saltò dal balconcino. Aveva fatto uno scatto talmente scoordinato che strisciò letteralmente con il braccio sinistro lungo tutto il muro dell’abitazione. Atterrò con dolore, si sbilanciò in avanti e cadde su quattro zampe, fortunatamente senza uccidere nessuno. Poi, senza guardare dietro di sé, si mise in piedi ed iniziò a correre. Alla cieca girò a ponente allontanandosi il più possibile dalla laguna. I polmoni iniziarono dopo poco a bruciare, ed entrambe le braccia erano occupate a tenere gonne e sottogonne sollevate. Le suole col tacco degli stivaletti slittavano ogni volta che cambiava direzione e le cinghie del pugnale si stavano allentando.

    Quasi subito uscì dalla folla e si ritrovò in una zona abitata buia. Si nascose dietro ad una casa e stette ad ascoltare. Oltre al suo respiro accelerato non udiva altro, tranne i rumori lontani del Carnevale. Probabilmente la stessa folla l’aveva fermata. Era riuscita a scappare. Ora non doveva far altro che raggiungere il Ponte di San Giacomo e prendere il landau. Sfiorò delicatamente il braccio sinistro che bruciava terribilmente e sentì umido. Si era strappata quasi tutta la manica e stava sanguinando. Avrebbe dovuto fare due chiacchiere con quel dannato sarto, appena tornata. Si scostò i capelli appiccicati alla fronte e al collo sudati e ricominciò a correre. Oh sì, quella ragazza era dannatamente forte ma di certo, non era più veloc….
    Non ebbe neanche il tempo di urlare. Riuscì solamente a parare in parte la caduta con gli avambracci. Atterrò come un sacco di patate o peggio: qualcuno le aveva afferrato con forza la vita e l’aveva spinta con tutto il peso del suo corpo. Mentre se ne stava lì a terra, sentì due pesi ad entrambi i fianchi e una mano che le afferrava un braccio per farla girare. Non riuscì ad opporsi. In un attimo si trovò faccia a faccia con Elizaveta che la guardava con gli occhi spalancati.

    “Come..anf.. come fai a correre..anf.. così.. anf.. con il cor.. anf.. corsetto?” Aveva il fiatone.

    “Non.. lo porto” rispose dolorante Cristiana.

    “Ah” fece Ungheria “neanch’io.. anf.. lo porto”. Sembrava stessero parlando del tempo.

    Per un attimo continuarono a scrutare l’uno il viso dell’altra nella penombra riprendendo fiato. Poi, senza tante scuse, l’amica d’infanzia la prese per le spalle e la scrollò.

    “Ma non ti vergogni?!”

    “Ma se anche tu hai ammesso di non portarlo!” rispose l’altra con una smorfia di dolore. L’altra inconsapevolmente strinse il braccio malandato ancora più forte.

    “Non per quello!” prese fiato ed avvicinò il viso a quello di Cristiana “Non ti vergogni di spiaretuo fratello in modo così sibillino?”

    La bionda sgranò gli occhi. Lui c’era.

    Si mise seduta così velocemente che Elizaveta si sbilanciò e si sedette sulle gambe di Cristiana.

    “Dov’è? ”

    “Come dov’è?”

    “Dov’è? Dov’è Feliciano? E’ qui a Chioggia vero?”

    Lo sguardo di Eliza vagò sul viso dello Stato Pontificio. Gli sbarrati occhi dorati, seppur oscurati, parlavano per lei : era tesa, spaventata, eccitata, preoccupata, sollevata.

    “Non l’hai visto?”

    “No, no non l’ho visto. L’ho cercato per tutta la sera ma è stato inutile. Dov’è? Come sta? ”

    Elizaveta fece un profondo respiro. Si alzò ed allungò una mano verso l’altra per aiutarla a fare lo stesso. Quando la tirò su, quasi di peso, si ritrovò tra le braccia di Ungheria. Da quanto tempo non poteva godere di un contatto umano? Da quanto tempo non compiva quel semplice gesto? Per la seconda volta, nell’arco di poche ore, calde lacrime scesero lungo le sue guance.

    “Perdonami…” mugulò contro la sua spalla “ sto diventando davvero patetica…”

    “Non ci vede nessuno Cristiana, siamo solo io e te.”

    “No. Il mio comportamento è ingiustificabile”. Con quelle parole si staccò delicatamente da quell’abbraccio e guardò Elizaveta.

    “Come state?”

    “Come sempre. Cerchiamo di andare avanti.”

    “Mi dispiace per… Sacro Romano Impero. Io non avrei mai pensato che…”

    “Lascia stare ti prego.” Ora era Ungheria a contrarre il viso per non piangere “Ora come ora, dobbiamo solo continuare a fare il nostro dovere di nazioni, compiere il nostro destino”.

    “Lo so bene. Perdona la mia mancanza di tatto.”

    Si abbracciarono di nuovo. Questa volta fu lo Stato Pontificio a sostenere l’Ungheria.
    No. In quel momento erano solamente due donne pervase dal dolore.

    “Tu che lo sai” iniziò Elizaveta “tu che, tra tutti noi, sei più vicina a Dio, promettimi che un giorno saremo liberi da tutto questo”.

    Cristiana la strinse ancora di più. Le sue labbra rimasero sigillate mentre il petto si incendiava. Se solo Eliza avesse saputo quante volte aveva pregato che ciò accadesse e quante volte aveva ricevuto solo silenzi.

    “Gli esseri umani” disse, cercando di ritornare nei suoi panni “ possono influenzare i nostri corpi, le nostre scelte, le nostre azioni, ma mai riusciranno a dominare il nostro cuore. E questo momento mi permette di sperare ancora di più in un futuro migliore.”


    *+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*


    Cristiana corse. Corse come se avesse avuto il Diavolo alle calcagna. Corse dimenticandosi il dolore al braccio sinistro, coperto alla meglio con la cascata di capelli biondi che Elizaveta le aveva liberato dall’acconciatura ormai rovinata. Raggiunse il ponte di Vigo e lo attraversò. Notò il giustacuore azzurro, illuminato da una torcia vicina. Da come l’aveva descritto Ungheria doveva essere lui, sì, se lo sentiva, era lui. Le dava la schiena e parlava con due graziose fanciulle sorridenti.

    Dio mio, pensò Cristiana, è così cresciuto.

    Aspettò qualche minuto, scrutando la schiena ormai così diversa, così adulta. Ormai era un giovane uomo. Il ciuffo sulla sinistra dondolava capriccioso ed evidentemente eccitato. Lei si toccò il suo pensando all’altro suo fratellino.


    Molto presto saremo di nuovo insieme. Ve lo prometto.


    Le due fanciulle si allontanarono, tenendo il ventaglio davanti al viso sorridente. Lui fece un breve inchino. Cristiana prese coraggio.

    “Feliciano!”

    Il cuore esplose. Gli sguardi si incontrarono. Lei sorrise. Lui era incredulo. Le gambe tremarono al primo passo. Si incontrarono a metà strada. Lei si mise una mano davanti alla bocca, le iridi tremanti. Lui la cinse con le braccia.

    “S- sorella..”

    “Sì sono io Feli, sono io…”



    Caecitas

    1311, Francia, Avignone


    Dov’era? Quel corridoio non aveva fine. Era notte fonda e fuori c’era la tempesta. I rami dei siliquastri sbattevano contro le grate delle finestre. Lei avanzava nel buio a piedi scalzi. Si sentiva piccola piccola man mano che camminava, ma doveva avanzare. Sapeva che alla fine sarebbe stata felice. Ed ecco la luce. Così bianca e calda. La scaldò fino a farla volare. Stava veramente volando. Due grandi mani la tenevano sotto le ascelle e la facevano girare a mezz’aria.

    “Guarda nonno! Sono un uccello..” urlava felice.

    La fece sedere su una roccia. Erano vicino al mare. Il nonno brillava come se fosse un secondo Sole, e le sorrideva. Era così giovane. Si chinò e le porse una croce di legno. Era ruvida e bollente.

    “Me lo prometti?”

    “Sì”

    “Bugiarda…”
    La luce crebbe d’intensità e, in un attimo, il nonno prese fuoco.

    “GESU’!”

    Urlava immobile mentre il suo cranio si spogliava dell’ultimo brandello di carne, fino a diventare nero e a sbriciolarsi.
    Lei si gettò sulla cenere che penetrava nel terreno e spariva.

    “Non piangere. Ci siamo noi.”

    Alzò lo sguardo colmo di lacrime. Diversi volti sorridenti erano comparsi attorno a lei. Antonio, Francis ed Arthur erano i più vicini. Poi riconobbe Gilbert che prese qualcosa da terra. Una spada perlacea. Lei la prese.

    “Non ci lascerai mai vero?”

    Lei si voltò verso Feliciano e Romano che erano lì vicino e si tenevano per mano. Le loro piccole mani unite erano sporche di sangue che gocciolava sull’erba. Cercò di alzarsi per poterli raggiungere ma qualcosa la bloccò.
    La spada che teneva in mano, era diventata un lungo serpente che la avvolse come una coperta gelata. Salì sempre di più fino a raggiungere il suo viso. Lì iniziò a stringere sempre di più. Poi sentì un dolore lancinante: qualcosa le aveva trafitto le orbite. Urlò come un animale mentre cercava di strappare la corona di spine all’altezza degl’occhi.

    “Inutile maledetta bugiarda.”

    Decine di lame la trafissero da parte a parte. Sentì il sangue scorrere lungo la pelle lacerata prima di essere avvolta dalle fiamme.


    *+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*


    Si mise seduta di scatto. Tremava come una foglia ed era completamente bagnata di sudore.
    Era solo un sogno, pensò cercando di calmarsi. Si premette una mano sul petto ascoltando in silenzio il suo cuore e il respiro affannato. Teneva gli occhi sbarrati nel buio.

    Era solo un sogno, si ripetè. Molto lentamente si sdraiò di nuovo. Quel letto era terribilmente scomodo, forse era per quello che aveva avuto un sonno agitato. O forse era colpa della terribile emicrania che la accompagnava da diversi mesi.
    Si girò su un fianco. Non intendeva riaddormentarsi, voleva solamente smettere di tremare in quel modo.

    Maledetti sogni. A volte risultavano così realistici da mettere seriamente in soggezione. Rimase immobile, scrutando il buio della stanza. Era un buio impenetrabile. A Roma aveva una grande finestra dalla quale filtrava la luce della luna che illuminava l’angolo preferito dove la sua fedele lupa sonnecchiava. A Cristiana bastava osservare quel profilo argentato per tranquillizzarsi, anche quando aveva degli incubi. Ma Roma non era con lei, era nella sua stanza ed aspettava il suo ritorno, magari osservando con gli occhi selvaggi il profilo della città che portava il suo nome.

    Era sola. E si sentiva particolarmente stanca. Pregò Dio di non far sorgere il Sole, che quella notte durasse fino al momento in cui qualcuno sarebbe entrato annunciandole che poteva tornare a casa. Il solo pensiero di scendere ed affrontare quei uomini così….. rabbrividì al solo pensiero.

    Quel palazzo puzzava di alcool e sesso. Ogni maledetta sera la storia si ripeteva. Fiumi di vino, cibo buttato per terra, prostitute che passavano da un vescovo ad un altro, da un cardinale ad un altro. Aveva assistito a scene che avrebbe voluto estirpare dalla propria memoria. Lei si chiudeva in quella stanza e cercava di non sentire gli schiamazzi e le parole che mai, mai e poi mai sarebbero dovute uscire dalle bocche di uomini di chiesa. Ma era inutile.
    L’unica cosa che le permetteva di andare avanti era la speranza di poter ricongiungersi ai suoi fratelli. Erano così piccoli ed indifesi. Si vergognò di se stessa.

    Un rumore improvviso la destò violentemente dai suoi pensieri. Qualcuno stava attraversando la stanza.

    “Bonjour État pontifical! Le soleil est levé et tu es toujours pour dormir ... C'est une honte! Je suis venue vous _ êtes-vous heureux?” I passi si fermarono.

    “Ne pas ouvrir la fenêtre Francis, J'ai un mal de tête…” Il tono di Cristiana era leggermente minaccioso.

    “Courtois et enthousiaste comme toujours...” rispose Francis ironico. Aprì la finestra e si voltò a guardarla: si era nascosta sotto la coperta candida. La raggiunse e si sedette al suo fianco.

    “Non hai il minimo rispetto” pronunciò nella lingua comune “Io ti ospito in casa mia e tu ti nascondi sotto la biancheria?! Sei scandalosa…”

    Dopo un po’, la testa bionda sbucò da quel candore. Aveva il viso stanco e provato.

    “Mangi abbastanza?”

    “Che domande…” bofonchiò lei guardando un punto fisso davanti a lei.

    “Ascoltami” Francis si sentì in dovere di farle sentire la presenza di un fratello maggiore “comprendo la tua preoccupazione; sono passato per il salone e ho visto… ma” le accarezzò la testa con dolcezza “sono sicuro che è solo un momento di crisi passeggero. Abbi fede e tutto tornerà come prima…”.


    Lui che dice a me di avere fede, ridicolo…

    Cristiana fece un debole sorriso e si alzò a sedere.


    “Perdonami, è che non riesco a dormire bene su questo letto”.


    “Ma sono pure piume d’oca francesi! Semmai sarà colpa della tua schiena italica, non del letto…”

    Entrambi sorrisero.

    “Sei talmente stanca che nemmeno mi guardi” disse il ragazzo risentito “ho indossato anche una veste nuova per l’occasione…”

    “Sciocco! Al buio come faccio? Aprì la finestra avanti… tanto oramai sono sveglia”.

    Dopo un attimo di silenzio l’altro rispose “Ma Cristiana… ho già aperto la finestra…”

    “Mmh?” Lei si voltò verso di lui con aria spaesata e Francis si sentì ghiacciare il cuore. La prese per le spalle con forza e lei spalancò gli occhi senza vederlo.

    “Oh mon dieu…”

    “Francis…” La voce di Cristiana tremava. Anche lei stava capendo.

    Le due pupille, che si muovevano all’impazzata, erano piccolissime.

    “Francis…” lei ripetè il suo nome terrorizzata “..io non.. vedo niente… Francis….”

    Le mani di lei cercarono il viso dell’amico, lui gliele prese.

    “Aspetta! Calmati m- magari c’è una spiegazione…”. Lei, per tutta risposta, iniziò a singhiozzare senza riuscire a tenere fermi gli occhi ciechi. Scattavano da un angolo all’altro della stanza senza saperlo.

    “Calmati! ” ripetè Francis “ Stai qui! Respira e calmati. Io vado a cercare qualcuno!” E uscì trafelato dalla stanza.

    Cristiana, sola, mise una mano tremante davanti ai suoi occhi. Niente. Non vedeva nulla. Era completamente cieca. I singhiozzi si fecero così violenti che faticava a respirare. Era cieca. CIECA.

    Artigliò il lenzuolo trattenendo i conati di vomito.
    Non sarebbe più riuscita a vedere casa sua. Romano. Feliciano. Roma. Il volto dei suoi compagni. Il Sole. Non avrebbe più letto un libro. Né avrebbe potuto più disegnare, né godere delle forme delle sculture o delle chiese. Non avrebbe più potuto proteggere casa sua e quella degli altri. Era inutile. Una nazione cieca.
    Perché?
    PERCHE’?

    Si sentiva morire.

    “Bientôt! De lŕ!”

    Sentì dei passi frettolosi raggiungerla. Mani nodose le toccarono il viso. Puzzavano di arrosto e vino.

    “Lasciatemi!”

    “M-mais nous devons nous guérir votre grâce …”

    “NO! NON OSATE TOCCARMI! E’ COLPA VOSTRA! SOLO VOSTRA!” urlò rannicchiandosi sopra il guanciale.

    “La fille est hors de soi…”

    “Ceci est l'œuvre du diable…”

    “SIETE VOI IL DIAVOLO! VOI TUTTI! E’ SOLO COLPA VOSTRA! VOSTRA!” Un paio di mani la presero con forza e la fecero sdraiare sul letto, mantenedola immobile.

    “Préparer une décoction de mélisse! Bientôt!”

    “Lasciatemi! Maledetti! Lasciatemi…” Distrutta si mise a piangere mentre qualcuno le alzava, di mala grazia, le palpebre. Aspettò che le lame di prima la trafissero. Per un attimo le bramò. Ma non vennero. Solo sussurri in latino e in francese, solo mani insensibili e nauseanti sul suo volto e sul suo corpo.

    “Francis…” gemette.

    “Andrà tutto bene. Andrà tutto bene…”



    Adversum

    23 marzo 1848, Roma

    “Vi pregherei di aspettare qui.” Il tono del maggiordomo era assai diffidente. In 23 anni di onorata carriera, nessuno mai, aveva chiesto di incontrare… quell’essere. A dire il vero, era quasi certo che nessun’altro, a parte sua Eminenza e pochi fortunati, fosse a conoscenza di quella “persona”.
    Vide una giovane cameriera uscire da quella stanza con in grembo della biancheria piegata. La raggiunse con passo svelto, mantenendo una postura impeccabile.

    “Vostra Grazia è presentabile?”

    La giovane cameriera, imbarazzata, non sapeva cosa rispondere.

    “Ehm, ecco io.. credo di sì..”

    “Via via, chiederò io..” disse l’uomo, con aria vagamente scocciata, prima di bussare alla porta.

    “Prego…”

    L’uomo varcò la soglia. Non era mai entrato nella stanza da letto di Vostra Grazia (sia mai!) ma nella sala che faceva da anticamera aveva passato ore intere a mettere in ordine, più volte, i libri e le carte che lei sgarbatamente lasciava in giro o rimetteva a posto in modo del tutto privo di senso.
    Come in quel preciso momento.

    “Vostra Grazia…” iniziò il maggiordomo, cercando di attirarne l’attenzione. La fanciulla si voltò. Era china su dei volumi sparsi su una cassapanca e la scrivania.

    “Ditemi pure Benedetto…” lo incalzò, togliendosi gli occhialini da vista. Sembrava leggermente inquieta.

    “Due uomini chiedono di voi. Hanno detto di chiamarsi Vargas l’uno mi pare un militare, l’altro…”

    “Dove sono?” Appena aveva pronunciato quel cognome, lei aveva drizzato la schiena e appoggiato in modo sgraziato il volume che teneva in mano.
    Benedetto, che odiava la mancanza di grazia, ma soprattutto essere interrotto, le rispose nel modo più falsamente cordiale possibile “In biblioteca Vostra…”

    “Fateli entrare! Subito!” rispose lei eccitata.

    Quando Benedetto tornò e fece entrare silenziosamente i due sconosciuti nella sala, la donna stava ammucchiando delle carte sulla scrivania. Appena alzò lo sguardo verso i nuovi venuti sorrise come mai il maggiordomo l’aveva vista sorridere in 23 anni.

    “Lasciateci soli” disse con lo sguardo fisso sui due ragazzi.

    Non appena la porta si chiuse attraversò la stanza e circondò il collo dei due con ciascun braccio.

    “Grazie al Cielo Grazie al Cielo Grazie al Cielo…” iniziò a ripetere, la fronte appoggiata sulle spalle dei fratelli che tanto amava “Ho pregato così tanto che questo giorno arrivasse… potervi riabbracciare, poter abbracciare entrambi contemporaneamente… Dio mio! Non mi sono mai sentita così felice da quando.. da quando..”.

    Romano appoggiò delicatamente la guancia destra sulla testa velata della sorella, mentre Feliciano le accarezzava la schiena.

    “Non essere troppo ottimista sorella” disse il primo “non sappiamo ancora se riusciremo a riunirci definitivamente..”

    Gli altri due lo guardarono. Cristiana sorrise dolcemente e sfiorò la guancia dell’altro con le dita.

    “E’ pur sempre un inizio… forza, sedetevi..”

    Tutti e tre si avvicinarono ad un prezioso tavolo da tea, l’unico sgombro da fogli e tomi. Feliciano nel sedersi cercò di reprimere una smorfia di dolore. Il fratello maggiore lo afferrò per un braccio cercando di aiutarlo mentre la sorella lo imitava.

    “Feli! Cosa non va? Sei ferito?!” chiese quest’ultima terrorizzata. Feliciano rilassandosi sul divano fece un largo sorriso alla sorella per poi baciarla sulla guancia così vicina. Era un odore così particolare, come quello di Romano…

    “Non agitarti sorella, è solo una ferita al fianco, solo questo… ”

    Cristiana, a quel contatto arrossì subito. Non per pudore o vergogna, ma per pura e semplice felicità. Si sentiva così viva, come se il sangue circolasse nel suo corpo con una forza nuova. Si sentiva completa.

    Ignorando il sofà posto di fronte ai fratelli, si sedette sul tappeto ai loro piedi. Era così appagata da sentirsi mancare. Alzò lo sguardo colmo di tenerezza sul viso dei due che la guardavano sorpresi.

    “Sono così.. orgogliosa.. di voi due..” disse prendendo le mani dei fratelli più piccoli. Mani da uomini.

    “State facendo ciò che io non sono riuscita a fare in secoli… Mio Dio, sono così …” la frase si spense a metà. Era sull’orlo delle lacrime ma decise di nascondere gli occhi liquidi chinandosi a baciare i dorsi delle due mani.

    Dopo qualche istante di profondo silenzio e commozione, Romano si schiarì la voce, ingoiando la voglia infinita di abbracciare Cristiana e Feliciano, senza dover toccare quell’argomento e senza dover pensare a ciò che stavano per affrontare.

    “Sorel…” si fermò un attimo “Stato Pontificio..” lei alzò lo sguardo verso il giovane uomo “noi, l’Italia, vi dobbiamo chiedere un favore…”

    Cristiana sentì la mano di Feliciano stringere la sua. Sorrise, raddrizzando la schiena e volgendo lo sguardo dagli occhi color oliva di Romano a quelli terrei del minore del trio.

    “Chiedetemi qualsiasi cosa….”


    *+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*

    3 Maggio 1848, (fuori) Treviso

    Andrea Ferrari udì distintamente gli zoccoli del frisone fermarsi. Ebbe appena il tempo di alzarsi prima che un soldato apparisse nella sua tenda come una furia.

    “Generale Vargas, Signore” si dichiarò, a gran voce, mettendosi sull’attenti “Generale Comandante della divisione regolare del corpo pontificio”

    Il generale Ferrari rimase interdetto per qualche secondo. C’era qualcosa di strano in quel soldato.

    “In verità” disse con voce fumosa, dovuta agli anni e alla sua passione per i sigari “aspettavo il generale Durando..”

    “Il generale è rimasto ad Ostiglia, Signore, sotto mio preciso ordine…” rispose l’altro rimanendo sull’attenti.

    “Sotto suo preciso…ordine?” Ripetè l’uomo sempre più confuso. Quel ragazzo era troppo giovane per essere un generale, al massimo poteva essere un sottotenente… c’era qualcosa di sospetto.

    “Sì Signore” rispose l’altro.

    Ferrari pose con naturalezza la mano sull’elsa della spada e disse “Mi dispiace, ma ho ordinato chiaramente di poter parlare direttamente con Durando… quindi, la invito gentilmente a tornare dal suo comandante e farlo venire qui alla svelta! ”

    “Non posso Signore!” disse il più giovane con tono irritato.

    “Si rifiuta?!” Ferrari sgranò gli occhi e la presa della sua mano si fece più salda.

    Il nuovo venuto fece un profondo sospiro ed abbassò il braccio andando in riposo.

    “Va bene Signore, visto che insistete, voglio essere totalmente sincera con voi..” pronunciate quelle parole si tolse il berretto con visiera che le oscurava gli occhi.

    “Ma…ma…” balbettò Ferrari a quella vista.

    “Ve ne sareste accorto comunque” disse l’altra con una smorfia “ queste divise sono troppo leggere…”

    Il povero generale non sapeva cosa dire: all’inizio pensò ad una burla di cattivo gusto poi, osservando meglio la giovane, decise di ritornare nei suoi panni ufficiali per non perdere ulteriore tempo.

    “Chi siete dunque?” chiese con tono autoritario ma anche leggermente incuriosito.

    “Mi ripeterei se vi rispondessi..”

    “Vorreste insinuare che…”

    “Io non insinuo, affermo di essere il Generale Comandante della divisione regolare del corpo pontificio” disse l’altra con tono sempre più irritato. Non voleva perdere tempo inutilmente; il messaggero sembrava molto agitato quando l’aveva raggiunta sul Po’ e durante il viaggio si era creata molte teorie sul perché.

    “Inoltre” disse, sperando di chiarire la situazione una volta per tutte “sono la rappresentante dello stesso! Immagino che abbiate sentito parlare di noi…”

    A quelle parole Ferrari iniziò a tossire come un matto. Cristiana, prontamente, si portò accanto a lui e gli diede qualche colpetto sulla schiena.

    “Sono partita subito.. non perdiamo altro tempo, vi prego…”

    L’uomo, ancora lacrimante la guardò di sottecchi. Non riusciva a credere di avere al suo fianco lo Stato Pontificio. Aveva sentito tante storie su di lei da quando era entrato al servizio del trono di San Pietro. Che era un uomo, una donna, un vecchio. Che aveva combattuto a fianco di re ed eroi di varie nazioni. Che era un essere crudele e sanguinario.

    Si ricompose e si inchinò.

    “Vi prego di perdonarmi Vostra Grazia, io…” ma venne fermato da quest’ultima.

    “No! Sono io che vi prego di non perdere tempo! Gli austriaci minacciano apertamente la città di Belluno e probabilmente procederanno verso Bassano…”

    “Bassano del Grappa..?”

    “Esatto!”

    Ci fu attimo di silenzio durante il quale il Generale Ferrari si voltò verso la sua scrivania e prese un foglio. Lo tenne per un istante tra le mani e poi, con sguardo grave, lo porse a Cristiana.

    “Questa è arrivata due notti fa. Leggete prego…”



    *+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*


    “Vostra Grazia?”


    Le iridi tremanti di Cristiana si posero di nuovo sul Generale. Il foglio, crudelmente accartocciato, giaceva per terra, dove era stato lanciato poco prima.

    “Avete letto?”

    Le labbra di lei erano troppo serrate per poter rispondere. Il sangue iniziò a scorrere rovente nei suoi vasi come lava e il respiro usciva forzato dalle narici.

    “Vostra Grazia?”

    “NON…” si morse la lingua: era infantile prendersela con quell’uomo; fece una pausa e riprese con maggiore calma “… non chiamatemi più in quel modo per favore… per voi sono il Generale Vargas, solo Generale Vargas…”

    Stava sputando ogni parola.

    “Sissigno…. Cosa state facendo?”

    Cristiana si era rimessa il berretto, coprendo alla meglio i lunghi capelli fermati in una crocchia, ed era uscita dalla tenda, seguita da Ferrari.

    “Signore? Avete letto il messaggio?”

    “Sì” rispose lei, montando agilmente sul frisone nero.

    “E quindi..quali sono gli ordini?”

    “Voglio parlare con i soldati… ”

    Ferrari la guardò dal basso, mentre spronava il cavallo a partire.

    “… immediatamente! Vi attenderò là, in vallata, così saremo al riparo…”

    “Sissignore…”



    *+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*



    “Ci sono tutti?” chiese con voce affannosa.

    “Sì, come avete chiesto voi…” rispose Ferrari al suo fianco in sella sul suo purosangue “.. vi sentite bene Signore?”

    “Sì sto bene..” pronunciò prima di andare di passo a raggiungere le truppe schierate.

    Ferrari ne osservò la figura, le spalle dritte, perfettamente allineate con quelle del cavallo. Fiera.

    Arrivata a pochi metri si fermò. Poi il silenzio. La vide abbassare il capo su quello del frisone.

    “Vostra…”

    “Soldati! Compagni!” iniziò all’improvviso, mettendosi diritta, con voce chiara e roca “pochi giorni fa il nostro Santo Padre,Pio IX, ha pronunciato un’allocuzione dove sconfessa apertamente il nostro appoggio alle truppe del Regno di Sardegna e alle sue alleate…”

    I maggiori si guardarono con aria esterrefatta, così come molti altri soldati.

    “So perfettamente che avete lasciato mogli, figli, genitori a casa, per tenere alto il valore del popolo italiano, e che in fondo al vostro cuore di soldati, accogliete questa notizia con gioia…”

    Il sole iniziava a concludere il suo giro quotidiano e le divise blu e gialle dei soldati iniziavano ad apparire come macchie indistinte.


    O Deus, ultimum tem est iuro


    “.. tuttavia…”

    Ferrari drizzò le orecchie.

    “io non intendo ubbidire agli ordini del Santo Padre…”

    Cristiana si curvò in avanti premendosi la mano libera sulla bocca mentre l’altra stringeva le redini. Ed ecco finalmente quella sensazione terribile, come se qualcuno rigirasse le tue viscere senza pietà. No, non era quello il momento di fermarsi. Si ricompose.

    “Io non posso più tollerare una simile scelleratezza, un’ingratitudine verso la nostra stessa identità… Soldati! Io non posso permettere che la nostra bella terra bevi ancora i liquami di gente straniera, usurpatori, ladri che la trattano come carne da macello, da spartirsi e litigarsi, che deridono la nostra storia, la nostra cultura… per secoli e secoli è stato così… è tempo di porre fine a ciò… ”

    “Ma questi” continuò con voce più grave “sono pensieri miei, figlia e madre di questa terra..”

    A quelle parole molti sgranarono gli occhi in silenzio.

    “.. ed è per questo che domani all’alba, mi dirigerò a nord, per unirmi ai miei fratelli, i vostri, i nostri… per allontanare definitivamente l’invasione austriaca, per debellare questo morbo che corrode le nostre carni da troppo tempo…”

    “Uomini… io conosco ciò che si cela nelle vostre menti, il desiderio ardente di unire ciò che non solo risiede nelle vostre tradizioni e nel vostro sangue ma ciò che risiede nel vostro animo… ”

    “Siete liberi! Liberi di tornare a casa e di riabbracciare i vostri cari, liberi di uscire da questo inferno! Partite stanotte…non cadrà su di voi alcuna nota di demerito, ve lo assicuro io stessa… siete liberi di decidere.”

    Molti si scambiarono occhiate malinconiche, altri abbassarono lo sguardo. Una parte di Cristiana sperò che stessero davvero prendendo in considerazione la possibilità di tornare a casa.

    “Ma se tra voi, c’è qualcuno che istintivamente e spiritualmente riesce ad abbracciare le mie idee e la mia anima, bene, allora dico a questi, di affiancarmi domani e di combattere contro l’esercito austriaco, di difendere questa nostra terra, questa nostra identità… perché Dio stesso lo vuole poiché ci ha donato questi frutti meravigliosi, queste terre fertili e questo amore per ciò che siamo, per ciò che ci lega! Io non vi dico di combattere per soddisfare l’odio che provate per chi vi starà di fronte sul campo di battaglia, ma perché amate più della vostra vita ciò che ci sarà dietro di voi! L’Italia! Tutta l’Italia!”

    Lo Stato Pontificio riprese fiato. Non poteva mentire, doveva comunicarlo prima che prendessero una decisione.

    “L’Impero austriaco è forte di più di 20.000 uomini, forse anche il doppio” ammise con tono grave “la situazione ci è sfavorevole… ma io…”

    Una mano gentile si posò sulla sua spalla. Lei su voltò a guardare il volto del Generale Ferrari che l’aveva affiancata: occhi colmi di tenerezza ed ammirazione sopra i baffi sale e pepe, rigidi come due soldati, risposero al suo sguardo.

    “Speravo, con tutto il cuore, che avreste detto una cosa simile…” sussurrò accennando un sorriso, poi si voltò verso i soldati “Avete sentito il Generale Vargas? Coloro che desiderano continuare la marcia si presentino domani all’alba, gli altri tornino a casa!”

    Cristiana non seppe spiegarsi cosa accadde dopo. Udite le parole di Ferrari, dopo pochi secondi un canto, sempre più forte si levò dall’esercito.


    « Bianchi e rossi color di pomodoro
    morte a Radesky, evviva Pio IX
    zitti, silenzio, che passa la ronda
    zitti, silenzio e chi va là
    evviva Carlo Alberto la guardia nazional »


    Lo Stato Pontificio guardò interdetta il Generale il cui sorriso si allargò.

    “E’ meglio che la impariate a memoria Signore, domani la canteremo fino a che avremo voce…”


    *+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*


    Aprile 1861, Roma

    Francis attraversò con passo deciso il lungo corridoio. Era poco illuminato e anche abbastanza deprimente. Possibile stesse così male? Un leggero senso di colpa iniziò a corrodergli il fegato.

    “Mi hai capito bene?!”
    “Non c’è bisogno che tu sia così aggressiva… ho capito perfettamente”
    “E allora perché mi guardi un quel modo?”
    “….”
    “Francis?”
    “Farò il possibile…”
    “Lo prometti? ”


    Era ancora preso dai suoi pensieri quando udì dei passi. Messa a fuoco la figura che gli veniva incontro accelerò.

    “Maddalena!” la chiamò con enfasi accennando un inchino. Lei rispose al gesto con più rigidità: da quando quel francese aveva preso sua sorella con sé il suo risentimento era aumentato e per questo non amava stare da sola con lui. Tuttavia lui aveva aiutato lei e i suoi fratelli e quindi non poteva permettersi un comportamento scortese.

    “Francis… come state?”

    “Ahhh Maddalena, ancora queste formalità? Ah, forse d’ora in avanti devo chiamarti Italia o qualcosa del genere?” fù la risposta ironica di lui.

    Lei si contenne nel prenderlo a schiaffi. La irritava quella sua voce molliflua e quell’accento così… francese.

    “Sardegna o Maddalena, come sempre…. Grazie…”

    “Piuttosto… ti trovo bene… ”

    “Le cicatrici bruciano un po’ tutto qua…” Si vedeva perfettamente che era ansiosa di dileguarsi.

    “Sei venuta a darle la notizia?” disse lui accennando col capo nella direzione da dove era venuta.

    “Non ce ne stato bisogno. Lo sapeva già…” si mise nervosamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio “Perdonatemi Francia ma ho molti impegni..” girò i tacchi, la cappa blu svolazzante sopra l’abito tradizionale “.. vi saluto e, per favore, portate i miei saluti anche a mia sorella..”

    Francis la salutò con un secondo inchino e la guardò andare via.

    “Per l’amor del Cielo, Francis. Per una volta tieni a freno i tuoi istinti predatori…”

    L’uomo si voltò di scatto. Il corridoio era vuoto e non c’era possibilità di nascondersi da nessuna parte. Da dove proveniva quella voce così lieve? Dove si era cacciata?

    “Sono qui…”

    Francis percorse qualche metro finché non notò una porticina socchiusa.

    “Ah…T'avoir trouvé…”

    “Lair pour toi…”

    Sebbene le sue parole fossero scherzose, l’aspetto di Cristiana era ben lungi dall’essere allegro. Sdraiata su un letto minuscolo, sorretta da numerosi cuscini dietro la schiena, pallida, mortalmente pallida, lo guardava con occhi spenti, ma sorrideva.

    “E’ bellissima vero?” disse lei mentre Francis si sedeva sulla seggiola posta accanto a quel letto piccolo piccolo.

    “Très joli, une brune avec yeux bleu océan…”

    “Già, sono così orgogliosa di lei, di Feliciano e Romano, di tutti loro..” alzò una mano e pose delicatamente il dorso sulla guancia del francese “.. e anche di te…”


    “Mi metti in una posizione scomoda Cristiana…”
    “Ti prego”
    “… io dovrei proteggere te, maledizione! ”
    “Ti prego Francis! Io sono sicura che un po’ d’appoggio li aiuterà…”
    “No”
    “E allora pensa ai benefici che potresti trarne! Francis, per l’amor di Dio, il tuo superiore ha già abbracciato la causa, tu dovrai semplicemente dare qualche suggerimento, qualche consiglio..”

    “Perché io? Perché non Spagna?”
    “Perché Antonio non accetterebbe mai! Francis sii ragionevole!”



    “Ti ringrazio, con tutto il cuore…” sussurrò lei guardandolo negli occhi “.. sapevo che li avresti spronati ad andare più in fondo..”

    “Non ho fatto niente” disse lui di rimando. Francis Bonnefoy in versione umile. Ringraziò il cielo di essere a miglia e miglia lontano da Inghilterra. A proposito…

    “Credi che ringrazierai anche Arthur? ” chiese lui accennando un ghigno.

    Lei roteò leggermente gli occhi. “Lui vuole solo la mia morte… maledetto…” ma non riuscì a completare la maledizione perché una serie di colpi di tosse la mise a tacere. Appena lei si voltò dall’altra parte, la tosse peggiorò.

    “Cristiana?” la chiamò lui massaggiandole la schiena. Riusciva a sentire distintamente la spina dorsale sotto la stoffa leggera della camicia da notte. Era ulteriormente dimagrita.

    “Scu- cof coff- scusami” cercò di rispondere lei tra un colpo di tosse ed un altro.

    “Vedi, sarà un sortilegio di quell’inglese..” disse rauca rimettendosi seduta, la mano davanti alla bocca “p-potresti passarmi uno di quelli? ” aggiunse indicando dei candidi fazzoletti, ripiegati l’uno sull’altro, posti vicino alla specchiera.

    Dopo averlo preso dalle mani dell’uomo lo passò velocemente sulla bocca. In un attimo il bianco divenne rosso e Francis sgranò gli occhi.

    “Non- non dire niente” ansimò lei contro il fazzoletto “sai che è normale...”


    “Guarda tu stesso…”
    “Conosco perfettamente la geografia Cristiana..”
    “E allora datti una risposta da solo! Per l’amor del Cielo Francis! Non vedi come è difficile la situazione? Non riesci a capire perché te lo sto chiedendo? Guarda! Sono io stessa a dividerli! ”


    “Stai calmo, non sto morendo..” aggiunse calma,nascondendo il fazzoletto sporco sotto il materasso.

    “Cristiana….”

    “Shhh… non dire niente! Sono felice così, davvero…”.

    Sembrava davvero convinta delle sue parole, ci credeva ovviamente ma Francis non poteva, non riusciva a comprendere esattamente dove si nascondesse il vero Stato Pontificio. Era nella loro natura lottare per la propria sopravvivenza: se un altro Stato, che fosse amico o meno, minacciava l’esistenza di un altro Stato, allora il secondo avrebbe lottato ciecamente per resistere. Era un istinto primordiale. Lui lo sapeva e anche lei.

    “Da quanto tempo sei in queste condizioni?”

    Cristiana si voltò dalla parte opposta emettendo un sospiro.

    “Rispondimi…”

    Dopo alcuni secondi lei ebbe altri colpi di tosse.

    “Perdonami ma devo sdraiarmi…” disse mentre si torceva per togliere qualche cuscino. Francis l’aiutò anche in quello. Messasi comoda lui tornò all’attacco.

    “E’ dal tempo di Cornuda? Eppure poco fa stavi bene….”

    “Sono passati… tredici anni Francis..” rispose lei guardando il soffitto.

    “ Quindi?”

    “Quindi….. devo pagare i miei debiti con Vash…”

    Francis, demoralizzato per la mancanza di collaborazione, abbandonò il capo su una mano. Possibile che fosse così testarda? Credeva che lo avrebbe sconfitto con quell’atteggiamento irritante? Forse era meglio tornare a casa…

    “Francis…”

    Lui alzò il capo, le iridi azzurre leggermente tremanti. Lei continuava a guardare il soffitto ed il crocifisso di ferro sopra la testata del letto.

    “Ricordi cosa disse Platone? Riguardo alla guerra…?”

    Il francese, con un sospiro, le prese la mano.

    “Illuminami…”

    “Solo i morti hanno visto la fine della guerra…” fece un profondo respiro “.. quindi mi chiedo… quante volte siamo morti noi..? ”

    Francis percorse con una mano la lunga treccia mollemente appoggiata sul cuscino.


    “Devono stare insieme… questa è la cosa più importante”
    “Anche a discapito delle tue terre?”
    “Basterebbero anche pochi chilometri…e poi alla fin fine non mi importa di quanto posso rimpicciolirmi… rimango sempre lo Stato Pontificio no? Mi basterebbero pochi ettari di terra per sopravvivere… ”
    “Smettila di scherzare Cristiana! Sono discorsi che una Nazione non dovrebbe neanche fare…”
    “Francis, cerca di capirmi, ti prego… loro potrebbero anche ripensarci, tu invece dovrai dar manforte e…”
    “..e suggerir loro di annettere parte di casa tua?”
    “Non è casa mia, e nostra, di tutti i miei, i nostri fratelli… e di questo popolo…”



    “Perché ti fai queste domande?” sussurrò.

    “Cornuda è stato un massacro. Sono morti quasi tutti e io sono rimasta in piedi. Io. Mi hanno sparato alla gamba sinistra, una spada mi ha trafitto l’avambraccio e non so quante volte mi hanno colpito ma, Dio Mio, sono rimasta in piedi.”

    L’uomo nell’udire quelle parole si accigliò.

    “Bhè, come sempre no? Non importa quante volte ci feriscono mortalmente, se non è la nostra ora o se non è per mano di un’altra Nazione, noi sopravviviamo… ”

    “Avrei dovuto tacere, potevano tornare a casa maledizione, potevo vivere ancora…”

    Gli occhi di Cristiana iniziarono a bruciare. Le solite, sciocche lacrime iniziarono a scorrere lungo gli angoli degli occhi. Con un gesto le asciugò.

    “Non puoi farti carico ogni volta di tutte le vite che si spengono, Cristiana… è la guerra. Punto. Noi ci conviviamo da quando siamo bambini. E’il nostro destino.”

    “Già” ammise lei “comunque, mi sono ripromessa di non scendere più in un campo di battaglia..”

    Non era la prima volta che lo diceva, Francis l’aveva sentita pronunciare quel genere di frasi centinaia di volte se non di più. Eppure, in quel momento, sentì che c’era qualcosa di diverso.

    Il suono delle campane annunciarono il mezzogiorno. Francis, un po’ riluttante si alzò dalla seggiola ed annunciò: “Credo di dover andare… Cristiana?”

    Lei si voltò a guardarlo con un leggero sorriso sulle labbra.

    “Riguardati..” Le prese la mano e si chinò per baciargliela ma lei gli afferrò il polso e gli fece segno di avvicinarsi. Appena lui si fu maggiormente chinato lei gli prese il viso tra le mani fredde. Per un attimo le iridi azzurre di lui si specchiarono vicinissime a quelle dorate di lei poi, lei chiuse gli occhi e posò le labbra sulla fronte di lui. Fu un attimo che scaldò il cuore di entrambi.

    “Ti voglio bene ” sussurrò lei in italiano mentre lui sorrideva.

    “Perché non me lo dici in latino o in francese? ”

    “Perché potresti forviarne il significato, vile pervertito..” rispose Cristiana mentre lui si raddrizzava di mala voglia “.. ora vai…”

    E la lasciò, in quella spoglia camera. Sebbene fosse felice di vederla almeno viva non riusciva a non pensare a quelle poche parole che si erano scambiati. Era strano. Si sentiva triste, demoralizzato.

    Arrivato a metà del corridoio si voltò. No, era assurdo. Si stava facendo influenzare dal luogo così deprimente. Inspirò e sorrise.

    “Je t'aime aussi, Valéria…”



    Destructa

    6 Maggio 1527, Roma


    “Fatti avanti Stato Pontificio!”

    Quello che, alle orecchie di Cristiana, sembrava una barzelletta patetica, era il gentile invito di un ragazzino vestito di nero e con i biondi capelli spettinati. Un ragazzino che brandiva una spada e la stava puntando verso di lei.

    Per tutta risposta lo Stato Pontificio scoppiò in una sgraziata ed amara risata.

    “Mi dispiace tanto ragazzino ma vedi, non combatto contro chi non mi arriva nemmeno alla vita…”

    Sacro Romano Impero rimase di sasso nell’udire quella risposta. Che lui sapesse, la sorella maggiore di Italia era una persona gentile.

    “Tu non sai chi hai di fronte! Io sono..”

    “No lattante! Sei tu che probabilmente non mi riconosci! Forse la mia colpa è di essere cresciuta nel….” .

    Un colpo. Le bastò un singolo colpo per sgozzare il soldato che la stava attaccando alle spalle. Stette a guardare il corpo che cadde ai suoi piedi. Dopo pochi secondi di spasmi, gli occhi si rivoltarono e l’uomo si abbandonò in una pozza di sangue.

    “Cristiana!”

    La voce, che alle orecchie di lei era sempre sembrata così calda ed amichevole, la fece sussultare. Non di spavento, ma di rabbia. Pura rabbia.

    “Ah! Bravo Sacro eccetera eccetera…” lo schernì mentre alzava lo sguardo verso la voce “ hai chiamato qualcuno che ti aiuti…e per di più… uno sporco traditore!”

    Alle spalle del ragazzino era comparso un uomo. Una figura nera che spiccava come una macchia d’ inchiostro, la cui pergamena non erano altro che le alte fiamme che stavano
    divorando la sua città. Roma era in fiamme, profanata per l’ennesima volta. E i colpevoli di tutto ciò le stavano davanti a pochi metri dalla sua lama.

    “Per favore, Impero” disse la figura con tono deciso “vai dagli altri.. qui ci penso io..”

    Il ragazzino abbassò lentamente la spada, diede un’occhiata di traverso alla pazza che le stava di fronte e se ne andò.

    I due si guardarono in silenzio, le urla e il crepitare del fuoco in sottofondo.

    “Voglio solo parlare…” iniziò lui calmo accennando un passo.

    “Davvero?! Strano modo di parlare il tuo..” disse lei velenosa mentre dava un calcio al corpo inanimato ai suoi piedi.

    “Crist…”

    Gli era addosso. Riuscì a parare l’affondo con facilità, benché lei l’avesse preso alla sprovvista. Era veloce, lo sapeva bene ma, molte cose erano cambiate negli ultimi tempi. Con un solo colpo la mandò a terra, pregando, in parte, di non essere stato troppo brusco. La spada dello Stato Pontificio roteò qualche metro più in là mentre lei lo guardava dal basso con una smorfia, una smorfia orribile.

    La osservò per un attimo. Indossava solo il busto dell’armatura sopra il lungo farsetto da uomo. Doveva essersi cambiata in fretta, appena aveva visto il primo incendio o qualcuno l’aveva informata del loro “arrivo”. Osservò i suoi occhi selvaggi color ambra, le macchie di sangue sul suo volto e sulla sua corazza… le ciocche scappate dalla crocchia. No. Non c’era motivo di affondare la lama nella ferita appena aperta.

    “Torna a casa e chiuditi nei tuoi appartamenti… mi farò vivo io…”

    “Non osare darmi degli ordini! Non te lo permetto!” ansimò Cristiana, ancora a terra. Poi, senza staccare gli occhi da quelli verdi di lui, indietreggiò, strisciando, per afferrare la spada.

    L’altro rimase inespressivo.

    “Torna a casa…” ripetè lui voltandosi.

    Lei inspirò profondamente, scossa dai tremiti di dolore.

    “NON DARMI LE SPALLE SPORCO MORO!”

    Spagna rimase fulminato. Il sangue gli andò letteralmente alla testa e la presa sull’asta dell’alabarda si fece ferrea. Avrebbe potuto anche spaccarla in due. Mai, a lui, mai. Era una cosa che non poteva tollerare da nessuno, neppure da lei.

    Si girò, il volto trasfigurato in quello di un animale affamato. E lei sorrise. Sorrise infelice di quella reazione. Erano due belve pronte ad uccidere l’altro. No, erano peggio. Non c’erano ne sentimenti ne ricordi. Solo odio.

    “L’hai voluto tu.”

    Lei era già in piedi mentre lui partiva all’attacco. Lei si chinò: avrebbe approfittato del suo annebbiamento mentale per colpirlo. Il suo roverso andò a segno ferendolo all’ascella destra.
    Lui grugnendo per il dolore, fece roteare l’alabarda e la colpì alla schiena. Lo Stato Pontificio riuscì a mantenere l’equilibrio. Era riuscito a sfondare la corazza? Probabile. Il dolore era lancinante ma lei era troppo furiosa per rendersene conto. Si erano cambiati di posizione e per la seconda volta Spagna prese l’iniziativa. Fendente, dall’alto. Voleva tagliarla in due? Sporco bastardo…

    Parò il colpo ponendo la spada orizzontalmente ma quasi subito se ne pentì. Spagna era forte, dannatamente forte. Lui continuò a spingere sulla spada di lei. Si sarebbe spaccata? Spostò velocemente la mano sinistra sull’estremità corrispondente della spada. Lui sentì il cedimento momentaneo ma lei rispose con energia. Il sangue iniziò a colare lungo il polso sinistro. Poi vi furono una serie di colpi. Prima al viso, poi al fianco. Cadde in ginocchio sputando sangue. Prese con la mano ferita uno dei due coltellacci che teneva dietro la schiena e gli penetrò la coscia destra. Antonio rispose immediatamente con una ginocchiata sotto al mento che avrebbe spezzato il collo ad un comune essere umano. Cristiana cadde all’indietro ed Antonio iniziò ad infierire con l’asta e la cuspide. Nessuna parte del corpo venne risparmiata.

    Poi tutto si fermò. Antonio rimase, per la seconda volta, a guardare quel corpo coperto di sangue. Ansimava e si teneva la gamba ferita. Cristiana, d’altro canto se ne stava lì immobile, in una pozza di sangue con gli occhi chiusi e la bocca socchiusa.

    Antonio si avvicinò. L’aveva davvero uccisa? Si chinò e le tocco il collo. Non sentì nulla.




    Oh Dios, che aveva fatto?!

    La chiamò, la scrollò, le toccò il viso.

    L’aveva uccisa. Il panico iniziò a scorrere dentro di lui, affogando ogni traccia di ira e trascinandolo in un oceano di disperazione. Lo Stato Pontificio era morto, distrutto. Come voleva il
    suo sovrano.

    “Ti odio…” una voce flebile e quasi incomprensibile uscì dalle labbra insanguinate di lei.

    “Cristiana!”

    Era viva. Antonio sentì il suo cuore ritornare a battere, mentre lei schiudeva l’unico occhio buono. Il sinistro era gonfio ed ematoso. Le dita di Spagna si avvicinarono al suo viso per
    togliere le ciocche che lo attraversavano trasversalmente, ma lei si voltò dalla parte opposta.

    “Non toccarmi…”

    Antonio sospirò profondamente. Le ferite inflitte da lei continuavano a sanguinare ma ben presto si sarebbero rimarginate. Spagna lo sapeva, avvertiva ogni giorno di diventare più forte e resistente a guerre e a scontri singoli. Ma lei… sapeva di averle inflitto una ferita ben peggiore di quelle corporali. Ma non poteva fare altro. Le parole del suo sovrano erano sacre, per lui. Ribellarsi era quasi impossibile e la nazione ne avrebbe pagato direttamente il prezzo.

    “Cristiana…” iniziò prendendo coraggio.

    “Taci taci taci… vattene, torna da quei bastardi e lasciami stare…”

    “No, devi ascoltarmi!”

    Antonio sapeva cosa stavano facendo i “suoi ” uomini e quelli di Sacro Romano Impero. Ma doveva avvisarla. Non aveva molto tempo.

    “Perché?”

    La voce di Cristiana era flebile ed incolore. Guardava, immobile ed abbandonata a terra, il muro di una delle case che affiancavano lo stretto vicolo dove avevano appena combattuto.

    “Perché l’hai fatto? Perché proprio qui?”

    Spagna si chinò ancora di più. Decise di evitare stupidi giri di parole e di arrivare al punto.

    “Tu sai cosa voglio Cristiana…” affermò con schiettezza e sincerità.

    “Voglio l’Italia, l’ho sempre voluta e la voglio tutta…”

    “Sei un bastardo Antonio”

    “Ascoltami…” continuò lui imperterrito facendo finta di non aver sentito “… possiamo ricreare l’Impero del nonno, io, te, i tuoi fratelli, Sacro Romano Impero… possiamo ingrandirci e dominare l’Europa…”

    “Smettila…”

    “Possiamo davvero farlo… uniremo i nostri eserciti ma ognuno manterrà l’autonomia su esportazioni , importazioni, tradizioni, cultura… non faremo gli stessi errori dell’Impero Romano, Cristiana… ”

    “Ma chi credi di prendere in giro?!”

    Con una smorfia, lo Stato Pontificio cercò di alzarsi. Spagna rimase vicino a lei, senza toccarla. Sapeva che lo avrebbe respinto.
    Trattenendo urla e gemiti di dolore, riuscì a strisciare vicino al muro e a tirarsi su. Le gambe tremavano violentemente e continuava a sputare sangue.

    Doveva tornare dai suoi, ma voleva anche vedere come stava Roma. L’aveva lasciata guaiante in un angolo, le orecchie abbassate, scossa dai tremiti.

    Anche Spagna si era alzato e l’aveva raggiunta. Era in trappola, tra il muro ed Antonio. Continuò ad evitare il suo sguardo. Non voleva guardare in faccia quel traditore.

    “E non è tutto…” le sussurrò “… el nuevo mundo…”

    Antonio credeva fortemente nelle sue parole, accennò un sorriso che lei non vide.

    “Ci sono stato, è ricco, è fertile, è nuovo… sai cosa può rappresentare per noi due?”

    “L’influenza di quel ragazzino ti sta dando alla testa…” ansimò lei. Ma Spagna non la sentì. Era troppo preso dal suo discorso.

    “Verresti con me? Verresti a vedere il nuovo mondo con me? Sto costruendo una flotta potente, la più potente di tutte… verrai? ”

    Il tono di lui era uno schiaffo al cuore. Come poteva mostrarsi così entusiasta in quel momento?!

    “Come puoi chiedermi una cosa del genere? Ora! Antonio, tu stai distruggendo la mia città, il mio fulcro vitale!” Tossì nuovamente sangue, maledicendo le costole rotte e il fegato spappolato. “Come puoi solamente pensare che io possa seguire la tua pazzia? Io ho delle responsabilità qui…”

    Antonio stette in silenzio per un attimo. Possibile fosse così cocciuta? O forse non voleva guadare in faccia la realtà?

    “Non puoi averli per sempre. Prima o poi, o io, o Francia o qualcun altro, riuscirà a annetterli..tu non sei abbastanza forte per poterli mantenere sotto il tuo controllo… sai che è la verità…”

    Lei rimase immobile, lo sguardo perso nel vuoto, la mano sulla bocca.

    “Cristiana..”

    Le si avvicinò ancora di più. Lei non si mosse. Esitò e poi disse.

    “Valeria…”

    Finalmente lo guardò. Con un occhio solo, ma lo guardò.

    “Fidati di me, io.. io non ti farei mai del male..”

    Sebbene quelle ferite e quelle ossa rotte dicessero il contrario, quelle iridi verdi, così intense da fare male al solo sguardo, le parevano sincere. Cosa doveva fare?

    “Fidati di me..”

    La voce di Antonio era ridotta a un sussurro. Sembrava che non stesse minimamente soffrendo per le profonde ferite che era riuscita ad infliggergli. Ed era maledettamente vicino. Così vicino da farla stare meglio. Perché era così. Purtroppo.

    Nonostante fosse quasi morta per colpa sua, nonostante lo odiasse in quel momento con ogni cellula del suo corpo, sia come persona che come Stato, nonostante si fossero feriti a
    morte come bestie, la sua vicinanza, la sua voce calda la faceva stare bene, le faceva quasi dimenticare chi era, dov’era….

    Lui sussurrò ancora quel nome mentre appoggiava l’avambraccio sinistro sul muro. Sarebbe bastato un attimo per caderci. Un attimo per dimenticare tutto e sigillare le sue parole, le sue promesse appoggiando le labbra su quelle sanguinanti di lei.

    Aveva già gli occhi semichiusi, offuscati dal desiderio, quando lei voltò il viso dall’altra parte con una smorfia. Dolore? Disgusto? Entrambi, forse.

    “I- Io…. non avrò pietà per i vostri uomini… sappilo Spagna…”

    “Valeria..”

    “.. e smettila di chiamarmi così, Valeria è morta tanto tempo fa, lo sai bene…” aggiunse con tono amaro.

    Poi, senza dire altro, zoppicò lontano da lui, si piegò, riprese la spada abbandonata sul terreno e gli voltò la schiena. Lui rimase a guardarla, senza fiatare, immobile, l’avambraccio sinistro ancora appoggiato al muro.

    “Non cercarmi Spagna, per alcun motivo…”

    E se ne andò, visibilmente ferita, grondante di sangue. Sarebbe stata una facile preda per chiunque.

    “Aspetta! Cristiana! ”

    Ma lei non si voltò. Girò l’angolo e sparì.

    Antonio si abbandonò sul muro. Doveva tornare anche lui dai suoi ma, per qualche strano motivo non voleva continuare la marcia. Roma era in fiamme, dilaniata. In quel momento centinaia di uomini stavano morendo, le donne venivano stuprate, i bambini rimanevano orfani e senza casa.

    Lo sguardo si posò sulla pozza di sangue dove Cristiana, poco prima, giaceva. Si avvicinò e si piegò per raccogliere un po’ di quel liquido rosso sulle dita. Non vi era una ragione, puro istinto. Se lo portò vicino alle labbra.

    “I soy un cabrón..” mormorò, prima di riprendere l’alabarda insanguinata e ritornare dai suoi uomini.



    .....(continua, forse)

    Io vi consiglio di leggerli su EFP perchè qui l'impaginazione non vi viene affatto bene.... Ovviamente se vi piace la serie :(rotfl):
     
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0 replies since 3/4/2013, 23:46   40 views
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